Pp.Ghisetti
Grazie ad una serie fortunata di fattori concomitanti, tra cui l'aiuto
di Simone Terzi della Biblioteca di Luzzara, ho potuto organizzare una
bella e lunga chiacchierata col noto fotografo Leica GBG, veramente
molto disponibile e affabile e, soprattutto, dotato ancora di ottima
memoria.
La conversazione si è sviluppata essenzialmente intorno
all'attrezzatura fotografica usata da Gianni nel corso della sua lunga
carriera, per cui abbiamo parlato con grande soddisfazione di entrambi
non solo di fotografia intesa come immagine, ma soprattutto di
attrezzatura, di cui è un vero appassionato, tanto da possedere una
trentina di fotocamere, di cui circa la metà Leica.
Gli inizi, ad appena quattordici anni, si devono a una vecchia ICA a
soffietto medio formato, per passare poi, subito dopo la guerra, a una
classica Leica IIIc usata e acquistata perché a buon mercato; tra le
ottiche impiegate Gianni ricorda ancora un vetusto Hektor 28/6,3,
utilizzato naturalmente per ragioni di economicità. Finalmente nel 1954
l'approdo alla Leica M3, comprata a rate a Venezia in un negozio vicino
all'Arsenale: da qui parte un nuovo mondo e una complicità con Leica
che non lo ha abbandonato mai più. Su questo aspetto Gianni è
categorico: lui ha sempre fotografato con Leica perchè ha sempre
creduto nel marchio, ottiche e corpi, come mezzo ideale per fare
fotografie. Un testimonial naturale!
Tra i ricordi del periodo pionieristico ci sono la vendita di immagini
al Borghese di Leo Longanesi (anche se non propriamente delle stesse
idee politiche di Gianni, ma come diceva qualcuno che se ne
intendeva…pecunia non olet…) e il successivo passaggio al Mondo di
Pannunzio.
Dopo la M3 si sono succeduti tutti gli altri modelli, tra cui la M4, ma
non la M5, che non gli piacque all'epoca, per approdare poi
definitivamente alle M6 e M7, macchine compagne da una vita e sempre
rigorosamente a pellicola. Come si sa a Gianni il digitale non piace
molto, e anche se gli hanno regalato una macchina digitale, afferma di
non usarla affatto. Anzi si dichiara acerrimo nemico di Photoshop e di
tutte le manipolazioni derivanti: per lui l'inquadratura deve essere
curata al momento dello scatto, con tagli minimi a posteriori, in
pratica sole delle rifiniture. Le pellicole preferite sono le Ilford
HP4 ed HP5, mentre raramente ha usato il colore, quasi di malavoglia,
in quanto a suo parere distrae l’attenzione dal soggetto dell'immagine.
Sulle ottiche la chiacchierata si è persa in molti meandri, come del
resto era prevedibile: posto che Gianni ha sempre usato pochissimo il
50mm, le sue focali preferite sono sempre state il 28 e il 35mm, cui va
aggiunto talvolta anche il 90mm. Ha tuttavia utilizzato qualche volta
il Noctilux f/1, recentemente rivenduto perchè in realtà poco sfruttato
per peso e ingombri. Si dichiara invece entusiasta del nuovo 21/1,4,
diaframmato al massimo a f/4, mentre ricorda in maniera critica il
primo Super Angulon 21mm per Leica, giudicato insoddisfacente, a causa
del ben noto problema della eccessiva vignettatura. Tra le domande che
volevo fargli, ma che per ragioni di tempo non sono riuscito a porgli,
c’era l’eventuale preferenza tra ottiche asferiche e non: vedremo una
prossima volta!
Tra i teleobiettivi, oltre ad un uso saltuario del 135mm, si segnala il
Telyt 200/4 montato su Visoflex, un'ottica sottostimata ma di cui
Gianni conserva un ottimo ricordo. Non ha invece mai utilizzato Leica R.
Tra l'attrezzatura non Leica Gianni mi ha parlato di Rollei, acquistata
perchè negli anni Cinquanta i negativi 6x6cm erano richiesti ed imposti
da tutti gli editori, l'immancabile Hasselblad, utilizzata anche col
250mm e, come reflex 35mm, un vasto corredo Nikon, F5 compresa.
Tuttavia in questo caso si è dichiarato convinto della superiorità dei
vetri Leitz-Leica, in quanto troppo spesso gli obiettivi nipponici
eccedevano nel contrasto. A sorpresa scopro che tra i tanti apparecchi
da lui posseduti compare anche una Zeiss Contax IIa con il Biogon
21/4,5.
In realtà Gianni non apprezza sino in fondo l'apparecchio reflex, in
quanto a suo parere il mirino di una Leica permette anche di osservare
'chi entra e esce dalla scena' inquadrata, con uno scatto molto più
silenzioso e senza vibrazioni. Su quest’aspetto Gianni si vanta di aver
compiuto scatti anche a 1/4 di sec, e che a suo dire rappresentano uno
dei vantaggi indubitabili della macchina a telemetro. Tra parentesi
Gianni ha tenuto a sottolineare di non aver mai utilizzato il flash.
Abbiamo affrontato poi l'annoso problema dello sfuocato, vero
tormentone degli appassionati Leica: Gianni afferma di non averlo mai
ricercato a tutti i costi, ma che ha sempre notato come quello Leica
sia molto più gradevole e meno impastato rispetto ad altri marchi. Una
caratteristica degli obiettivi Leica da lui molto apprezzata è la scala
della profondità di campo, che permette di utilizzare la tecnica
dell'iperfocale, snellendo e rendendo più sicura la messa a fuoco 'al
volo'.
Tanti i fotografi citati e su cui ci siamo soffermati, per un ricordo o
per una caratteristica: Fulvio Roiter, Letizia Battaglia, Tazio
Secchiaroli e Franco Fontana tra gli italiani, ma soprattutto i
francesi Cartier-Bresson e Willi Ronis, l'immortale Eugene Smith, per
il suo impegno e la magnifica capacità compositiva (mi cita tra tutti
il famoso reportage di Life 'Country Doctor'), Dorothea Lange, senza
dimenticare Paul Strand, che proprio a Luzzara ha aperto una nuova
stagione fotografica col suo libro Un paese.
Non si dice invece sorpreso delle vicissitudini digitaliste che hanno
recentemente colpito Steve McCurry, a suo parere ormai troppo esposto
al business e alle sue frenetiche e contraddittorie leggi.
Infine una nota quasi umoristica: Gianni mi ha confidato che non ha mai
capito pienamente il successo e la popolarità di una delle sue foto più
famose, che qui riproduciamo: l’auto inglese con le due persone a bordo.
Naturalmente, essendo noi a Luzzara, il ricordo di Cesare Zavattini e
il suo indimenticabile ritratto in bicicletta ripreso da Gianni,
torna spesso a tenerci compagnia, per i più svariati motivi, tra cui la
collaborazione per la realizzazione, non facile, del libro Un paese
vent’anni dopo.
Per concludere, una piccola lezione di umiltà per tutti: Gianni ha
tenuto a precisare che lui non si è mai sentito un artista, ma
che anzi trova ridicoli quei fotografi che si atteggiano come tali. Non
tutti sono Weston e lui si è sempre sentito e comportato
come un fotografo, ovvero un testimone del suo tempo.
Penso che questo dovrebbe far riflettere tutti coloro che si
sentono…fotograficamente arrivati!