Incontro con
Giampaolo Ferro
Pp.Ghisetti
Non è facile incontrare Giampaolo Ferro: abita infatti a
Buttrio, piccolo paese nei dintorni di Udine, in una casa che è anche
laboratorio di riparazioni fotografiche. L’ingresso del laboratorio è stipato
di materiale fotografico di epoche diverse, tra cui spiccano diverse Contax a
telemetro e macchine italiane come Ducati, Janua e ISO. A sinistra, come un
totem, ammicca una grande fotocamera a lastre da terrazza Piseroni e Mondini degli
anni Venti-Trenta, mentre all’interno si trovano innumerevoli strumenti tecnici
e vetrinette stracolme di macchine fotografiche.
Giampaolo è molto disponibile a raccontare le proprie esperienze, e mi rivela che, dopo aver lavorato per venti anni come progettista di macchine siderurgiche, si è dedicato con impegno alla sua passione per la micromeccanica, in particolar modo quella fotografica, coltivata sin da bambino, specializzandosi nelle riparazioni di tutte le macchine meccaniche e dei loro relativi obiettivi. Scambiamo anche qualche opinione sulle Rectaflex, di cui possiede diversi modelli, e mi conferma la fragilità concettuale e tecnica dell’otturatore di questa macchina, quasi mai preciso nei tempi veloci e tendente a stararsi con facilità. Tra le rarità presenti non posso non notare ed apprezzare una Contax III completa di Olympia Sonnar 180/2,8, con innesto diretto, ottica molto rara in questa versione, in quanto quasi tutti gli esemplari furono modificati con cassetta reflex Fektoskop.
Naturalmente il discorso si sposta su Leica e la sua
straordinaria meccanica: Giampaolo riconosce che la costruzi
one delle Leica a
telemetro è di qualità veramente superiore e realizzata con materiali di prima
scelta. Tra tutti i modelli della serie M afferma di preferire la M4, mentre la
meno apprezzata è la M5, non tanto per la funzionalità, geniale, ma per la
complicazione dovuta al braccetto esposimetrico mobile, che complica le
riparazioni.
Gli piacciono meno le Leica reflex, anche se ammette che nel
parco di ottiche R vi sono diversi obiettivi fuori dal comune, sia otticamente
che meccanicamente. L’uso di materiali specifici nella costruzione dei
barilotti, i diversi anelli distanziatori, la cura nel montaggio e le
tolleranze di lavorazione, ristrettesi sempre più nel corso dei decenni, hanno
fatto sì che le ottiche per Leica siano i veri prototipi meccanici per tutti i
costruttori.
Giampaolo è un innamorato della meccanica fine e mi mostra
con orgoglio la sua creazione: l’anello fotografico, una realizzazione frutto
del suo ingegno progettuale e di una capacità manuale fuori dal comune. Ha
creato al tornio tutti i pezzi, perfino le microviti, introvabili sul mercato,
e mi regala un bel libro, autografato, dedicato alla creazione e allo sviluppo
della sua straordinaria microcamera, che pesa appena 20 grammi ed è citata in
tutti i libri, e aggiunge che un esemplare della macchina è esposto al Museo
del cinema di Torino, all’interno della Mole Antonellliana.
Tornando a Leica, mi mostra alcune macchine e accessori interessanti: il MOOLY, motore a molla degli anni Trenta, perfettamente funzionante e dal movimento dolce e silenzioso; il mio esemplare, ad esempio, è più rumoroso, e sospetto che Giampaolo lo abbia smontato e rimontato, ben lubrificando i componenti interni. Vediamo poi una eccezionale Leica MP, la nr 207, in uno stato perfetto e completa della sua speciale borsa. Macchina meccanicamente stupenda, uno dei capolavori Leitz degli anni Cinquanta, completa di serie del proprio Leicavit, creata appositamente per i professionisti ed usata, ad esempio, anche da Tazio Secchiaroli, il famoso Paparazzo dei film di Fellini, prodotta in circa 311 pezzi cromati. L’esemplare di Giampaolo possiede la curiosità di essere stato inviato a Maracaibo, in Venezuela, come attestato dal libretto della macchina.
Non manca naturalmente una classica M3 completa di ottica
Summicron 50/2 Brevi Distanze, magnifica combinazione che dimostra una volta di
più, se pure ce ne fosse bisogno, la maestria della Leitz del periodo d’oro
nella costruzione meccanico-ottica senza eguali. Dato che anche chi scrive usa
talvolta questa combinazione, ci troviamo perfettamente d’accordo nel ribadire
che fare di meglio è praticamente impossibile: il concetto di design
industriale, la piacevolezza dell’oggetto sia alla vista che all’uso, trova ben
pochi paragoni e solo epigoni.
Mentre chiacchieriamo, Enrico, il figlio di Giampaolo, che lo affianca nel lavoro del laboratorio, smonta e rimonta una Pentax ME con la massima facilità, come se fosse un gioco da ragazzi.
Vi sono poi nel laboratorio diversi attrezzi molto specialistici,
alcuni fatti costruire appositamente, per esempio alcuni per ilcontrollo del centraggio delle lenti, o
per la verifica delle diverse velocità dell’otturatore. Interessante il
pannello con forme di diverso diametro per correggere la ovalizazzione dei
barilotti degli obiettivi in caso di urti o cadute.
Sembra che non vi siano segreti di meccanica per Giampaolo, che ritira tranquillamente un paio di Rollei biottiche che il mio amico Enzo, che mi ha accompagnato nella visita, gli lascia fiducioso di una perfetta riparazione.
Mi colpisce soprattutto il fatto che Ferro sia totalmente autodidatta: non ha frequentato corsi presso Leitz, né presso altri marchi. Eppure sembra che capisca in profondità la logica e lo sviluppo di tutte queste meravigliose macchine meccaniche, come un padre verso una numerosa figliolanza. Lasciando da parte l’anello fotografico, una realizzazione che lascia stupefatti sia nella concezione che nello sviluppo, ben spiegata nel libro denominato Il Gioiello, che mi ha voluto regalare e che consiglio vivamente a tutti gli appassionati. Eppure è un uomo che mostra una profonda conoscenza della meccanica di apparecchi di epoche diverse, sempre con la sicurezza di poterle capire e guarire da eventuali malfunzionamenti.
Conoscere Giampaolo è stata una esperienza rara e preziosa:
la sua modestia, le sue conoscenze, la sua abilità, mi hanno profondamente
impressionato, in quanto frutto di una serietà ed una dedizione fuori dal
comune. Forse è un esempio vivente di quella genialità italiana, che gli
stranieri spesso ci riconoscono, ma che a volte è solo vanagloria e
presunzione.
La passione, che traspare da tutto il suo lavoro, dimostra,
ancora una volta, che la fotografia classica ha bisogno dell’uomo, come
vera macchina pensante che stia al centro del processo decisionale fotografico.
L’elettronica ha permesso una eccezionale evoluzione della fruibilità e della
condivisione dell’immagine, ma il fascino di una macchina meccanica, tra cui
Leica sicuramente primeggia, rimane una delle grandi avventure dell’umanità.
E Giampaolo, con la sua meravigliosa competenza, creatività,
abilità manuale e tecnica lo dimostra!
Ottobre 2019